Osservatorio sui servizi per la salute mentale

A causa del distanziamento sociale sono emerse specifiche difficoltà per l’assistenza a persone con sofferenza psichica grave: convivenze forzate, perdita del contatto diretto fra terapeuti e pazienti e della dimensione gruppale e comunitaria, difficoltosa prevenzione delle crisi, problematiche di accesso al DEA.

I servizi per la salute mentale hanno reagito in modo disomogeneo e per lo più senza indicazioni specifiche, applicando e inventando nuove modalità d’intervento. L’osservatorio si pone come strumento concreto per creare un confronto fra pari tramite un’inchiesta che produca la possibilità di riflettere e restituire una sintesi, mettendo in rete le pratiche positive e innovative.

osservatorio sui servizi per la salute mentale

OSSERVATORIO SALUTE MENTALE

Inchiesta / riflessione sui problemi di assistenza dei servizi di salute mentale in tempo di COVID

Obiettivo

L’osservatorio ha avviato un’inchiesta/riflessione sui danni secondari del COVID sulle persone seguite dai CSM con diagnosi psichiatriche gravi. L’ipotesi è che, chiusi i Centri di Salute Mentale e i Centri Diurni a causa del distanziamento sociale, la perdita di continuità e della dimensione relazionale e gruppale, l’isolamento e la convivenza forzata in nuclei familiari potenzialmente conflittuali, lo stato d’allarme generale, abbiano determinato un aumento del disagio e delle crisi.

L’indagine non pretende di raccogliere dati necessari ad una valutazione epidemiologica del fenomeno: non ne abbiamo l’autorità, la competenza e gli strumenti.

Coerentemente con lo spirito delle iniziative dell’associazione si intende piuttosto raccogliere esperienze e punti di vista degli operatori di salute mentale e degli utenti, familiari, care givers che possano essere elementi di confronto e di stimolo.

Stiamo realizzando allo scopo una serie di interviste telefoniche ad operatori dei servizi ed Associazioni di utenti e familiari  e una raccolta di storie e documenti sul tema. Ne risulta un discorso forzatamente più letterario/giornalistico che scientifico.

D’altronde, parafrasando Eco (e un po’ Wittgenstein) “di quello che non si può affermare, occorre narrare…”

L’INCHIESTA

Cap. 1: Metodi

Fin dalla prima fase di lockdown abbiamo  distribuito tramite email a tutti i servizi di salute mentale un documento di sensibilizzazione, con richiesta, alle équipe e ai singoli operatori, di illustrare le istruzioni ricevute, i problemi affrontati e le soluzioni adottate con la promessa di restituire a tutti una sintesi delle riflessioni e  mettere in rete le pratiche positive, ed eventualmente innovative. (vedi allegato…).

Successivamente si è provveduto ad effettuare interviste telefoniche interpellando gli operatori presenti e disponibili sul momento: infermieri, coordinatori, medici, educatori.

Nelle interviste è stato garantito l’anonimato e la non localizzazione.

Si sono finora contattati quasi tutti i SPDC e più di un terzo dei CSM della Regione Piemonte.

Ne è risultata una raccolta di notizie, storie, opinioni e stati d’animo in   grado di dare un’idea del fenomeno, della risposta dei servizi, dei problemi e delle difficoltà. Ne esce un quadro comunque interessante e per certi versi inatteso.

Sono coinvolte nella ricerca una serie di associazioni di utenti e familiari, inizialmente con richiesta formale di collaborazione tramite mail. Grazie alle risposte sono stati  raccolti alcuni documenti e alcune storie.

Cap. 2: Vista dagli SPDC

2.1 Approccio

Nella maggioranza dei casi il primo operatore trovato al telefono, medico o infermiere che fosse, ha risposto esaurientemente alla richiesta di informazioni fornendo anche proprie valutazioni e punti di vista. In un terzo circa dei casi la risposta è stata “le passo il medico”. Solo in qualche caso si sono verificate risposte difensive “non sono autorizzato”,  “bisogna chiedere al direttore”, “scriva una mail (cosa per altro già fatta ad inizio inchiesta)”.

2.2 Prima fase

nella prima fase alcuni SPDC hanno avuto chiusure di qualche settimana per quarantena, ma non si è verificato un sovraccarico di ricoveri. Fuori Torino sono stati anzi descritti momenti di diminuzione dell’attività, sia del reparto che del DEA.

L’opinione condivisa è che crisi e ricoveri dovuti alla perdita di contatto con i servizi o all’esplodere di conflittualità nei nuclei familiari forzatamente conviventi siano state piuttosto rari. In ogni caso non si sarebbe verificata la temuta esplosione di crisi.

Un’ipotesi diffusa è che la paura di accedere all’ospedale e subire un contagio abbia tenuto lontano anche i pazienti psichiatrici “gravi”.

2.3 Seconda fase

La situazione nella seconda fase della pandemia appare più differenziata.

A Torino  la situazione è resa difficile dalla chiusura del SPDC dell’Ospedale Mauriziano e dall’individuazione del SPDC dell’Ospedale Martini come reparto per pazienti con COVID.

Questo ha comportato un sovraccarico nei restanti SPDC.

Il SPDC COVID non ha avuto problemi di sovraccarico e, con le comprensibili complicazioni dovute alle precauzioni da prendere, pare abbia funzionato bene.

Man mano che ci si allontana da Torino la situazione descritta si avvicina alla normalità, fino a situazioni in cui viene riferito che “non ci si è praticamente accorti del COVID. Abbiamo lavorato con i ritmi di sempre”.

Anche nella seconda fase non si segnala un aumento di ricoveri di pazienti con diagnosi pesanti motivate da perdita di continuità terapeutica o convivenza forzata. Spesso anzi permane una riduzione di ricoveri per tali patologie, salvo che per le persone con disturbi bipolari.

Si ricorda che queste note non si basano su dati, ma su valutazione di operatori interpellati, che risultano per altro piuttosto concordi.

2.4 Terza ondata

Caratteristiche simili alla seconda, ma con segno di scompenso nelle situazioni gravi.

In alcuni casi è riferito un netto aumento di TSO

2.5 Contenzioni

Alcuni operatori, soprattutto infermieri, segnalano un aumento di contenzioni motivate dal rispetto delle precauzioni anti contagio, soprattutto nella prima fase e “giustificate dall’inesperienza”.

Il dato non è riportato in modo generalizzato, né omogeneo. Possibile che il fenomeno sia stato maggiormente notato in situazioni in cui la contenzione di norma è meno frequente…

2.6. Nei DEA invece…

nei DEA nella seconda fase della pandemia si segnala una situazione, in alcuni casi esplosiva di accesso di utenti, molto spesso nuovi, molto spesso giovani, con diagnosi meno “gravi”, ma non meno preoccupanti: disturbi di personalità, crisi d’ansia o di panico, depressioni reattive.

Cap. 3: Vista dai CSM

3.1 Approccio

Quasi sempre a rispondere per primo è stato un infermiere. Quasi sempre ha fornito risposte esaurienti e proprie valutazioni, anche se era possibile parlare anche con un medico o con altri operatori. Interessanti le re-interviste, quando è stato trovato l’operatore intervistato nel giro precedente: spesso hanno chiesto notizie sui risultati dell’indagine.

Rare le risposte difensive, spesso curiosamente corrispondenti territorialmente alle analoghe ricevute nei SPDC…

3.2 L’impatto della pandemia

La prima fase ha colto i servizi impreparati, e non poteva essere altrimenti.

Sono state ricevute solo indicazioni su come prevenire i contagi, spesso macchinose e difficilmente applicabili, che hanno reso difficile il lavoro.

Quasi ovunque nella prima fase l’attività ambulatoriale si è interrotta e sono stati chiusi i Centri Diurni. In qualche caso sono state trovate modalità per non interrompere tale attività.

Gli operatori hanno lamentato l’impatto della perdita di attività socializzanti e di inserimenti lavorativi (spesso sostituiti da sussidi: una sorta di cassa integrazione).

In generale sono stati intensificati i contatti telefonici e in alcune situazioni sono state attivate modalità di comunicazione on line, anche di gruppo, con utenti e familiari.

Sono state intensificate le attività domiciliari, anche se per lo più dedicate alla distribuzione dei farmaci. In particolare  è stata posta cura al mantenimento delle terapie depot e nella maggior parte dei casi si afferma che le discontinuità sono state rare. Viene per lo più smentito un aumento dell’uso di farmaci depot motivato dalla difficoltà di continuità nel seguimento.

3.3 Il vissuto degli operatori

Si può grossolanamente articolare in tre filoni.

Autocentrato: prevale la lamentela sulla difficoltà di lavorare in tali condizioni, la paura del contagio, le difficoltà operative, i carichi di lavoro, ovvero l’assenza di lavoro.

Lutto: viene descritta la difficoltà di lavorare con i pazienti, la perdita delle attività ambulatoriali e soprattutto gruppali, i centri diurni, le uscite(cui viene data molta importanza soprattutto da parte degli operatori non medici). La difficoltà nel lavoro territoriale, spesso ridotto alla consegna dei farmaci nella buca delle lettere.

Sfida. In numeroso casi, è uno stato d’animo per fortuna non minoritario, la situazione è stata vissuta come una sfida: “adesso come facciamo” e con l’orgoglio di aver inventato modalità nuove di contatto (a volte semplicemente con videochiamate WhatsApp, ma magari col cellulare personale perché mancano quelli in dotazione o non sono dotati).

In alcuni casi sono state mantenute attività gruppali, ovviamente a piccoli gruppi e con precauzioni, in modo semiclandestino. E non vengono riferite epidemie in relazione a tali pratiche.

Quello che è mancato, e generalmente manca nella rete dei servizi territoriali, è la comunicazione, il confronto delle idee e delle pratiche.

3.4 Ipotesi di resilienza

È opinione diffusa che, soprattutto nella prima fase, i pazienti psichiatrici “gravi” abbiano dimostrato una grande resilienza. La presenza di un pericolo esterno immanente e concreto, l’abitudine, in molti casi la tendenza all’isolamento, la tendenza, in molti casi osservata, a ricomporsi in situazioni impegnative, quali ad esempio operazioni chirurgiche, possono giustificare il fatto che, soprattutto nella prima fase, la stragrande maggioranza dei pazienti seguiti non abbia presentato crisi o destabilizzato gravemente le relazioni familiari.

Nella prima fase, ma spesso anche nella seconda, il nostro timore che una difficoltà e discontinuità di seguimento da parte dei servizi potesse provocare guai, parrebbe non giustificata.

In molti casi si esprime però il timore che “la pentola stia per esplodere”, che il perdurare dell’isolamento possa preludere ad esplosioni di disagio.

Cap. 4: Conclusioni (provvisorie)

  • soprattutto nella prima fase della pandemia i pazienti psichiatrici con diagnosi di psicosi hanno dimostrato in molti casi una notevole e inaspettata resilienza (si direbbe maggiore di quella degli operatori). In molti temono un prossimo crollo.
  • È esploso invece un disagio generalizzato con ricorso ai DEA e ai servizi da parte di utenti nuovi, giovani, con disturbi d’ansia, di personalità, affettivi reattivi e da abuso.
  • I servizi, comprensibilmente impreparati, e senza istruzioni che non fossero finalizzate ad evitare contagi, hanno reagito in modi variegati, con maggiore o minore creatività, cercando comunque di mantenere una continuità.
  • Nella maggior parte dei casi è prevalsa una cultura medicalizzante. La cura maggiore è stata posta alla continuità dei trattamenti farmacologici
  • È grave, drammatica, la mancanza di comunicazione e di confronto tra servizi, soprattutto territoriali su idee ed esperienze.
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